È interessante considerare in questo contesto l’inutile COME UN “SURROGA­TO” (nel suo valore di sostituto – non originale e degradato) del “GRATUITO”; il “GRATUITO” come atto libero di apertura al donare e al ricevere.

In una società in cui tutto è “merce” ed ha un prezzo, non si può più donare, si è condannati solo alla tirannia dell’utile;

ma forse la gratuità ritorna, anche se deformata grottescamente, e in modo quasi irriconoscibile, proprio nello spazio dell’inutile, feticcio di un desiderio di pos­sesso e di consumo, che appare come ultima illusione di appagamento e di con­quista, in una società in cui tutto è necessario. Oggi l’inutile in qualche modo ci viene proposto addirittura come “oltre” il necessario, come soglia qualitativa della libertà dei ricchi; quasi un passaggio di status sociale.

Ma l’inutile del consumismo giustifica e conserva la condizione originaria da cui proviene, che ne è traccia prevalente, anzi è strumentale a questa concezione utilitaristica;

allora l’unico modo per uscirne è la dimensione NON CALCOLANTE, oppor­tunistica, una dimensione anzitutto INNOCENTE, contemplativa della vita, che possiamo riconoscere nella pratica fisica e nella meditazione come ricerca della “GRATUITÀ DEL GESTO”. Gratuità del gesto, nella sua dimensione creativa, nella nostra dinamica espressiva, che va dalla parola al gesto, dal silenzio all’immobilità;

è qui, in questo spazio di sperimentazione, che possiamo riconoscere la traccia di libertà nel suo essere essenzialmente “DONO”;

il dono è la possibilità di accogliere in sé stessi il gratuito, l’inaspettato, come il non necessario, che non ci obbliga ma ci libera, paragonabile ad una gioia che trabocca, ad un “Nulla gravido d’essere” (Hegel).

Ma la libertà del dare presuppone dall’altra parte la disponibilità e l’umiltà nel ricevere. Alle volte infatti, il dono è più difficile accettarlo che farlo, perché ci sentiamo obbligati alla restituzione, non comprendendo che possiamo invece, in questo caso, uscire dalla logica debito-credito.

La gratitudine è il segno della comprensione del dono, che è sempre al di là e al di fuori del contratto, a cui non siamo obbligati perché il vero dono non chiede altro che di essere accolto. Ma la nostra capacità di ricevere parte sempre dal riconoscere la nostra origina­ria incompletezza, che non ci impedisce però di donare, dando testimonianza coraggiosamente della nostra fragilità che si trasforma in dignità nel portare il peso della propria condizione, trasfigurandola


dott. Carlo Robustelli