REALISMO PERCETTIVO

Quando parliamo di realismo percettivo, intendiamo un tipo di conoscenza che parte e pasa dalla corporeità risvegliata e ripulita percettivamente.

Conoscere in senso fisico-corporeo, senza dover CONSUMARE l’oggetto della nostra conoscenza;

CONOSCERE entrando in relazione col conosciuto – e in questo modo divenendo correlativo a ciò che conosciamo – integrandolo come una parte di noi stessi.

È questo un modo per sottrarsi al pericolo, già divenuto reale, di divenire SCHIAVI DEGLI OGGETTI, strumento degli strumenti, che dettano il ritmo della nostra esistenza, divenendone gradualmente delle protesi insostituibili.

Se conoscere è ricordare, come sosteneva Platone, allora ricordare è risvegliare un vissuto che non abbiamo consapevolizzato.

Conoscere allora è anche riconoscere, “…ed a un certo punto il mondo cambiò ai suoi occhi” dice Pantanjali in un passo degli yoga-sutra.

Conoscere è in un certo senso anche nascere insieme al conosciuto, riportando una bella osservazione di Raimon Panikkar.

Quando parliamo di realismo percettivo corporeo, dobbiamo considerare il corpo non come semplice oggetto della nostra conoscenza, ma una realtà concreta e vivente. Una realtà da cui non possiamo prescindere se non astraendocene, che riunisce in sé, come ORGANON, anche il Mistero dell’Invisibile che lo attraversa.

QUELLO CHE NON È ANCORA AVVENUTO

Abbiamo parlato in precedenza del passaggio dalla DESACRALIZZAZIONE DELLA NATURA alla sua OGGETTIVAZIONE: parliamo di quel processo storico che ha reso il mondo operabile dall’uomo e nello stesso tempo lo ha trasformato in oggetto; quello che non è avvenuto sino ad ora è il passaggio dalla DESACRALIZZAZIONE alla DIVINIZZAZIONE del creato.

Divinizzazione, come un accorgersi della presenza dell’ESSERE nel vivente, che è al contempo accorgersi della presenza vivente dell’essere sotto ogni forma, ma non collegato ad un’unica forma come nel realismo totemico primitivo.

Per il momento sembriamo esserci fermati alla COSALIZZAZIONE DELLA NATURA, ridotta a semplice oggetto dei desideri umani.

Siamo rimasti imbrigliati nel PENSIERO MAGICO, solamente trasformandolo nelle nostre mani attraverso la tecnologia, nello strumento della nostra onnipotenza.

Prendendo su noi stessi le sorti del mondo abbiamo pensato di renderlo migliore, ma ad un certo punto la superstizione è ritornata,

nella nostra dipendenza dagli oggetti della NOSTRA TECNOSCIENZA.

Ritorna il potere della cosa in quanto tale, allora veramente e pericolosamente, ricordando una citazione che amava ripetere l’amico Padre Camillo De Piaz,

“…se togliamo Dio dal mondo, allora ogni cosa può diventare Dio”.

Il Divino si distingue dal Sacro, proprio in quanto vede il sacro in ogni cosa come suo principio essenziale.

CONCLUSIONE

Se è vero che lo yoga unisce, unisce operando un cambio di visione del mondo, e questa è certamente una VISIONE ECO-SOFICA.

Ma è un modo di conoscere che va imparato e praticato per trovarne la giusta misura.

È il modo della natura che ci portiamo dentro, che quando emerge ci dice qualcosa su noi stessi e sul mondo.

Ed è solo nel trovare la nostra giusta misura che possiamo misurare ogni cosa.

Lo yoga è un filtro, un modo d’essere che possiamo sperimentare nella pratica e ci accompagna a casa.

Forse è arrivato il momento di rivedere la natura partendo dall’esplorazione della nostra vera natura: vera natura che va scoperta, custodita e protetta, così come il creato che ci sta intorno, in cui siamo immersi; che fa parte di noi come noi di questo, così da smettere di considerarlo solo come uno sfondo,

come una semplice scenografia dentro la quale agire da unici protagonisti.


dott. Carlo Robustelli